Immersi, smarriti in una realtà incomprensibile di cui fanno parte, gli umani hanno cercato da sempre un modo di controllarla, di orientarcisi, di comunicarsela comprendendosi reciprocamente. Sono nate così le categorie, le regole, le misure. Con esse, le semplificazioni, che escludono le infinite sfumature di ogni realtà umana.
Se per costruire qualunque cosa, dai grattacieli alle più complicate fra le macchine, i calcoli sono indispensabili e insostituibili, estendere il criterio della misura a tutta la realtà è pericolosissimo.
Considerando il mio settore, le diagnosi psichiatriche stilate attraverso il DSM V, manuale di diagnostica psichiatrica, hanno generato una vera inflazione diagnostica, una profusione di etichette (spettro autistico, Deficit di attenzione, Iperattività, depressione..) che spingono a incasellare un gran numero di persone in categorie che vorrebbero essere precise e invece sono approssimative, perché ben poco considerano le infinite e mutevoli caratteristiche delle persone.
Si è quindi diffuso il (mal)costume di curare persone normali, spaventandole, indebolendole, come spiega assai bene Allen Frances nel bel libro “Primo non curare chi è normale”.
Stessa epidemia sta verificandosi per i test di intelligenza, che spingono a dare un’importanza determinante al Q.I., indice assai utile soltanto se considerato con grande attenzione e sensibilità insieme a molteplici dati, assolutamente individuali e sovente assai variabili.
La voglia di citar numeri è evidente nella pioggia di statistiche-Covid raffazzonate e incomprensibili che ci sta alluvionando, e la voglia di citar misure sta nelle diagnosi fatte anche da chi non dovrebbe né potrebbe, come molti insegnanti. Cito Il bambino è troppo isolato, troppo poco attento, troppo poco concentrato”. Nella smania di misurare il non misurabile, nessuno spiega rispetto a cosa si pongano il troppo e il troppo poco. Sta girando perfino una certa “Sindrome di ipersensibilità”…Le emozioni non si possono misurare, ma soltanto sentire, e così l’empatia, così la sensibilità. Mi piacerebbe che girasse la sindrome di iposensibilità, ma forse sarebbe troppo comune!
L’artificio di considerare tutta la realtà misurabile giova assai a chi persegue il potere, sia economico, sia politico, che in ultima analisi è ancora principalmente economico. La (falsa) certezza di giudizi semplici, è utilizzabile per influenzare e indirizzare gli individui come per domare i popoli, costringendoli entro rigidi recinti di espressione e di comportamento, penalizzando chiunque se ne stacchi. Ne abbiamo un esempio nel dilagare del politicamente corretto, che da apparente difesa di categorie di persone mutila la libertà di tutte le altre, insensibile ai paradossi e ai dati di realtà. Un facile esempio è l’attuale negazione del sesso biologico, che pure fa parte della scienza. La prepotente categorizzazione determina uno stile di vita e di pensiero che offende la libertà, il pensiero intuitivo, la creazione artistica. E nega la percezione dell’infinito, l’immersione nel mistero, che amplia l’identità personale fino ai confini dell’universale, non misurabile, pochissimo descrivibile, la cui percezione va oltre i classificati 5 sensi. L’educazione scolastica, mediatica, storica, nega la realtà trascendentale, soffoca la capacità di percepirla, di vivere anche oltre le vicende personali intuendo un sovramondo cui anche apparteniamo, cui forse torneremo, che ci può consolare, avvolgere, accogliere in un coro che, forse, è dell’universo.
Tratto da Giornale Metropolitano
Foto di Pawel Nolbert su Unsplash