La psichiatra Federica Mormando spiega quando le scuse sono un insulto

È in corso una moda particolarmente disgustosa, lo scusismo. È iniziata, cita la Treccani, col Papa Giovanni Paolo II, che si scusò con Galileo, certamente commuovendolo. Quanto alla Chiesa cattolica, lo scusismo prosegue con Papa Francesco che ha chiesto scusa ai popoli indigeni del Canada per le violenze perpetrate fra ‘800 e ‘900 nelle scuole residenziali, scuse anticipate da quelle del governo di Stephen Harper. Recentemente il re d’Olanda si è scusato per lo schiavismo colonialista. Un balzo nei tempi, un’impunibile appropriazione a effetto di colpe non proprie. Non sto a citare le scuse dei potenti, che sono parecchie, calo molto più in basso. Raccapriccianti le scuse che Gianni Melluso, uscito dal carcere dopo 30 anni per spaccio di droga e rapine, rivolge alla famiglia di Enzo Tortora, da lui accusato ingiustamente di associazione camorristica e morto, anche, di dolore.

Dagli illustri precedenti la scusa mania è grottescamente dilagata. Questa moda fa comodo a chi si sente in diritto di essere assolto, ma anche a chi evita di affrontare problemi spinosi dando valore alle scuse. Allievo spara con pistola ad aria compressa un po’ di pallini a un’insegnante. Lui e famiglia sostengono di aver chiesto scusa, cosa negata dall’insegnante. Un tentativo di spostare su scuse sì-scuse-no il reato dell’impallinamento. Una protezione dei genitori al figlio che non esiterà a ripetere azioni gravi, di cui forse chiederà scusa, tanto non costa niente. Quello che per i pallini ha chiesto scusa è il ministro Crosetto, allenato dalle scuse fatte a Conte, lo scorso anno, dopo averlo definito deficiente.

 Chiedo scusa a chi ho fatto del male, posta in un messaggio su Facebook Savino, prima di ammazzare la compagna e se stesso. È gravissima e sempre più diffusa la comoda illusione che due parole cancellino crimini, offese, sofferenze inflitte. Come la facile illusione di aver fatto qualcosa con cortei e fiaccolate: esternazioni senza rischi. Non ho memoria di manifestazioni serie contro gli stupri e relativi colpevoli, fatte proclamando idee politicamente scorrette, quindi rischiose. Stiamo diventando un paese di deboli arroganti, coperti dal bugiardo cappellino degli alibi. Che ormai ci sono per tutto, e il guaio è che sono accolte come attenuanti, nella dilagata indulgenza contro i malfattori.

E malfattore è anche chi non va scuola, visto che le scuole, buone o no che siano, le paghiamo noi. Anche chi imbratta i muri delle città, muri da pulire, ancora con i nostri (guadagnati) soldi. Anche chi imbratta il Colosseo, con l’aggravante della presa in giro. “Non sapevo fosse antico”, lagna Ivan Dimitrov, nato a Roma e residente a Bristol, in Inghilterra. Dopo essersi fatto glorificare, cioè ripreso da un amico, mentre incideva su un muro del Colosseo il nome della fidanzata, il suo e il memorabile 2023. Il gesto è idiota, ma le scuse ancor di più: oltre a darsi dell’imbecille, il che è perdonabile, il tipo dà degli imbecilli anche a noi. E questo non è perdonabile. L’esaltazione del piacere che seppellisce il dovere produce la repubblica delle scusanti, che rinforza il flebile sforzo del chiedere scusa. C’è una scusante per tutto. I ragazzi non vanno a scuola? Poveri, hanno subito il lockdown. Ci si dà malati per lavorare meno? Un diritto perbacco! Tanti hanno oziato per anni cullati dal reddito? Un altro diritto, inventato da chi voleva avere più voti. Un popolo sempre più inetto, in cui la figura del cretino la fa chi è responsabile, lavora, studia davvero, nonostante lo sberleffo del tutti promossi, tutti uguali, non offendiamo i lazzaroni dandogli brutti voti. Meglio offendere chi ha lavorato. E sono sorprendenti le scuse per colpe non proprie. Un esempio: Il professor Zennaro, direttore del dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino, ha inviato all’incirca 50 lettere ai residenti del civico 10, in via Verdi, per scusarsi a nome dell’Ateneo per il fracasso fatto dagli studenti durante una festa. Non lettere degli studenti, non interruzione della festa. Scuse del prof al posto di scuse dei ragazzi.

Gli esempi sono tantissimi, la morale una sola. Stiamo diventando nulla. Ci scuseremo per le croci in cima ai monti, dopo aver chiesto di levarle. La nostra identità è ritenuta un’offesa verso identità diverse, chiediamo scusa anche a loro. C’è chi chiede con parole e azioni scusa di esistere, lasciando il posto a chi di esistere è fiero e non può che disprezzarci. I vigliacchi sono destinati a perire e nessuno gli chiederà scusa.

Federica Mormando

Da Giornale Metropolitano

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